di Marinella Cornacchia
Riprendiamo e facciamo nostre le parole della sorella di Andrea, dopo la lettura della sentenza, divulgate dai maggiori quotidiani: «La morte di mio fratello deve avere un senso, deve iniziare un percorso. Mi auguro che qualcuno si metta intorno un tavolo e ragioni sui TSO, perché le cose cambino. Mi auguro soprattutto che il cammino sia fatto per aiutare le famiglie… I malati vanno ascoltati…Quello che è successo a mio fratello non deve succedere mai più a nessuno…».
Noi vorremmo aggiungere che anche le famiglie devono essere ascoltate. Cosa che nel caso di Andrea e di tanti che, come lui, hanno perso la vita per un TSO, non è stato fatto e si è scelta la via della forza, così deleteria e troppo spesso rivelatasi controproducente.
Non dovremmo solo augurarci che le cose cambino, dobbiamo invece continuare a lottare perché vengano riaffermati i diritti inviolabili delle persone, soprattutto di quelle più fragili.
Come riportato, le controparti faranno ricorso in appello. Dove, affermano, «siamo certi che la valutazione degli atti processuali porterà all’assoluzione dei nostri assistiti».
Non siamo giustizialisti, però dobbiamo far notare come “la valutazione degli atti processuali” non deve MAI prevalere su quel sentimento di umanità che TUTTI dovrebbero manifestare nei confronti di chi è più debole e si trova in stato di evidente necessità. Invece troppo spesso si preferisce la prevaricazione, l’affermazione dell’essere più forte per ristabilire un fantomatico ordine delle cose.
Trattare e considerare la morte di una persona solo come un piccolo inciampo nella quotidianità svilisce completamente il nostro pretendere di essere una società che si dice civile.
Occorre ancora lottare contro procedure che continuano a considerare la persona malata di mente solo come oggetto pericoloso; pregiudizi atavici che nessuna legge riuscirà mai ad abolire perché generati e nutriti dall’ignoranza profonda su quello che significa la malattia mentale e sulle persone che ne soffrono e soprattutto dei loro diritti.
Il servizio pubblico dedicato alla salute mentale dovrebbe far proprio e insistere sulla necessità di formazione anche di tutti gli altri operatori coinvolti in caso di TSO, proprio perché possano espletare al meglio il loro preciso compito che consiste nel garantire il rispetto delle persona.
Un problema correlato all’emergenza è ancora una volta, non ci stancheremo mai di denunciarlo, quello delle condizioni in cui sono costretti ad operare i servizi pubblici per la salute mentale, dove carenze ormai endemiche di personale stanno aprendo sempre più la strada verso una routine istituzionalizzante. Parole come prevenzione, presa in carico, riabilitazione e restituzione sociale stanno sempre più perdendo il loro originario valore, sostituite da una semplificazione di interventi, molto spesso impropri, dettati quasi esclusivamente dall’emergenza (appunto) e dal dover rispettare bilanci che, con la loro incongruità ed esiguità, sono ben lontani dal rispondere alle reali necessità di cura e di reinserimento sociale delle migliaia di persone che soffrono di disagio mentale.
Come Associazione di familiari vogliamo far giungere ancora una volta la nostra solidarietà e la nostra vicinanza alla famiglia di Andrea e a tutti coloro che sono rimasti vittime della superficialità, dell’incapacità degli altri ad ascoltarli ed aiutarli.