La famiglia e l’abitare

di Girolamo Digilio  A.RE.SA.M. Onlus

Relazione al Simposio “Architettura e persona: pensare, trasformare, rappresentare”, XII Congresso nazionale SIRP, Società Italiana Riabilitazione Psicosociale, Roma, 28-30/9/2017  

Nell’affrontare il tema “La famiglia e l’abitare” non si possono certamente trascurare gli aspetti, impliciti nel tema,  del “coabitare” e, nel nostro caso,  del convivere di tutti i membri  della  famiglia con il disagio psichico, aspetti  che rivestono una notevole importanza anche ai fini di una precoce individuazione del disturbo e della presa in carico globale del paziente per la sua cura e la sua inclusione sociale. Una maggiore attenzione su questi aspetti spesso trascurati forse perché considerati scontati o marginali sarebbe invece  decisiva per  ostacolare evoluzioni che complicano ulteriormente il decorso compromettendo la convivenza fino a portare all’esclusione e, in un certo numero di casi, all’abbandono del paziente da parte della famiglia. La messa in moto di questo perverso meccanismo è alla base della  istituzionalizzazione del paziente con tutte le sue note conseguenze.


Un pronto e adeguato  intervento da parte dei servizi non solo sul paziente ma anche a sostegno della famiglia, per lo più spaventata e disorientata per l’irrompere di manifestazioni spesso sconvolgenti, potrebbe  rimettere la famiglia  in grado di svolgere il suo prezioso ruolo di vicinanza e di solidale aiuto e superare così nella maggior parte dei casi anche i problemi della convivenza con il disagio, della  coabitazione e quindi del cosiddetto abitare. Tutto ciò andrebbe fatto anche perché sembrerebbe, almeno secondo una logica di comune buon senso, che, entro i limiti normali del fisiologico evolversi del nucleo famigliare (cioè dalla nascita all’inizio dell’età adulta per i figli e possibilmente per tutta la vita per i coniugi) la casa della famiglia di appartenenza  dovrebbe essere, eccettuati i casi di estremo degrado ambientale, il migliore luogo dell’abitare anche per le persone con disagio psichico.

Ma  purtroppo in molti casi questa preziosa risorsa non viene pienamente utilizzata.

Mentre infatti  le famiglie soggiacciono ai pregiudizi diffusi nella popolazione generale, soprattutto a quelli della pericolosità e dell’inguaribilità delle persone con disagio psichico e mentale, i servizi,  decimati dai micidiali tagli alle piante organiche degli ultimi 15 anni, non sono in grado, nonostante il generoso impegno del superstite personale, di assicurare una presa in carico territoriale che affronti tempestivamente le tematiche sopra accennate, prevenga l’aggravamento e la cronicizzazione e favorisca la guarigione. La qualità dell’abitare, bisogno esistenziale primario per la persona con disagio psichico, come per tutti noi, può essere garantita infatti soltanto se l’intervento abitativo avviene nell’ambito di un ben strutturato percorso di inclusione sociale e lavorativa. L’offerta preponderante è invece oggi rappresentata da ritardi nella presa in carico, da un intervento con dosi spesso massive di psicofarmaci, da un eccesso di reiterati e costosi ricoveri presso gli SPDC e, infine,  dalla istituzionalizzazione in una delle tante  strutture cosiddette “residenziali”, per lo più private, le Comunità Terapeutico-riabilitative con vari livelli di protezione, in molte delle  quali le attività riabilitative sono assai limitate. Strutture che pur  rappresentando un passo in avanti rispetto ai manicomi chiusi alla fine degli anni ’90, finiscono molto spesso con l’assumere caratteristiche di tipo “neo-manicomiale”.

La ricerca e l’utilizzazione in questi ultimi anni di soluzioni abitative più congrue e maggiormente rispondenti ai bisogni esistenziali delle persone,  quali case famiglia, gruppi appartamento, ecc. (il cosiddetto “Housing” nelle sue diverse accezioni) rappresenta, oltre che un risparmio per la collettività, un ulteriore miglioramento del “comfort” abitativo e della qualità della vita del paziente. Queste soluzioni che si sono dimostrate assai utili sia  per ridurre i ricoveri in strutture di più ampie dimensioni sia,  in una sorta di “percorso di ritorno”, per sottrarre ai rischi di istituzionalizzazione pazienti già ricoverati nelle cosiddette  “comunità”, molto spesso però anziché costituire una tappa di passaggio verso una completa recovery, possono assumere caratteristiche istituzionalizzanti e trasformarsi in parcheggi a tempo indefinito per pazienti che non hanno raggiunto  una reale condizione di autonomia.

Anche le “case famiglia”, i “gruppi appartamento”, ecc., dovrebbero infatti essere sempre parte integrante di un programma di inclusione sociale e, soprattutto, lavorativa in grado di assicurare al paziente una reale autonomia e conferire allo stesso abitare il suo pieno significato.

 E’ su questo punto che, secondo la nostra esperienza, insorgono questioni e dubbi  che pongono la necessità di un approfondimento del problema.

Mi sembra perciò utile richiamare l’attenzione su alcuni dati della letteratura, che sembrerebbero rafforzare questi dubbi, riportati e utilizzati nel  Progetto HERO per la elaborazione degli indicatori di qualità dell’Housing.

 Da questi dati (i più significativi sono raccolti nella tabella n° 1) risulta che molti importanti requisiti e indicatori per l’Housing erano stati presi in considerazione soltanto da una piccola parte degli Autori.

In particolare:

  • L’integrazione di un progetto Housing con un progetto di inclusione lavorativa era presente soltanto nel 17% dei documenti presi in considerazione
  • Le informazioni su motivazioni, interessi,obiettivi delle persone con disagio psichico solo nel 18%
  • La valutazione delle capacità di funzionamento degli utenti solo nel 43%
  •  La descriz.rappresentaz/percezioni società civile su persone con disagio mentale solo nel 5%
  • Le attivitàdi sensibilizzazione di  Cittadini, vicini, negozianti, solo nel 5% dei documenti.

Riteniamo che questi dati, insieme alle nostre empiriche osservazioni debbano essere tenuti ben presenti per la realizzazione di un “abitare” di buona qualità.

La elaborazione di indicatori sulla qualità dell’Housing ci mette a disposizione uno strumento  che potrebbe consentire un più accurato monitoraggio e un ulteriore miglioramento della qualità dei percorsi di inclusione sociale e lavorativa delle persone con disagio psichico.

 

 

 

 

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